L'Olimpiade by Pietro Metastasio

L'Olimpiade by Pietro Metastasio

autore:Pietro Metastasio [Metastasio, Pietro]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-12-15T08:41:15+00:00


MEG. Lasciami. In van t’opponi.

AMI. Ah torna, amico, una volta in te stesso. In tuo soccorso

pronta sempre la mano

del pescator, ch’or ti salvò dall’onde,

credimi, non avrai. Si stanca il Cielo

d’assister chi l’insulta.

MEG. Empio soccorso, inumana pietà! negar la morte

a chi vive morendo. Aminta, oh Dio!

lasciami.

AMI. Non fia ver.

ARI. Lasciami, Argene.

L’OLIMPIADE

ARG. Non lo sperar.

MEG. Senz’Aristea non posso, non deggio viver più.

ARI. Morir vogl’io dove Megacle è morto.

AMI. Attendi.

ARG. Ascolta.

MEG. Che attender?

ARI. Che ascoltar?

MEG. Non si ritrova più conforto per me.

ARI. Per me nel mondo non v’è più che sperar.

MEG. Serbarmi in vita…

ARI. Impedirmi la morte…

MEG. Indarno tu pretendi.

ARI. In van presumi.

AMI. Ferma.

ARG. Senti, infelice.

ARI. Oh stelle!

MEG. Oh numi!

ARI. Megacle!

MEG. Principessa!

ARI. Ingrato! E tanto m’odii dunque e mi fuggi,

che, per esserti unita

s’io m’affretto a morir, tu torni in vita?

MEG. Vedi a qual segno è giunta,

adorata Aristea, la mia sventura;

io non posso morir: trovo impedite

tutte le vie, per cui si passa a Dite.

ARI. Ma qual pietosa mano…

SCENA II

ALC. Oh sacrilego! Oh insano!

Oh scellerato ardir!

ARI. Vi sono ancora nuovi disastri, Alcandro?

ALC. In questo istante L’OLIMPIADE

rinasce il padre tuo.

ARI. Come!

ALC. Che orrore, che ruina, che lutto,

se ‘l Ciel non difendea, n’avrebbe involti!

ARI. Perché?

ALC. Già sai che per costume antico questo festivo dì con un solenne

sacrifizio si chiude. Or mentre al tempio venìa fra’ suoi custodi

la sacra pompa a celebrar Clistene,

perché non so, né da qual parte uscito,

Licida impetuoso

ci attraversa il cammin. Non vidi mai

più terribile aspetto. Armato il braccio, nuda la fronte avea, lacero il manto,

scomposto il crin. Dalle pupille accese

uscia torbido il guardo; e per le gote,

d’inaridite lagrime segnate,

traspirava il furore. Urta, rovescia

i sorpresi custodi; al re s’avventa:

“Mori”, grida fremendo, e gli alza in fronte il sacrilego ferro.

ARI. Oh Dio!

ALC. Non cangia il re sito o color. Severo il guardo

gli ferma in faccia; e in grave suon gli dice:

“Temerario, che fai?”. (Vedi se il Cielo

veglia in cura de’ re!) Gela a que’ detti il giovane feroce. Il braccio in alto

sospende a mezzo il colpo. Il regio aspetto attonito rimira: impallidisce;

incomincia a tremar: gli cade il ferro;

e dal ciglio, che tanto

minaccioso parea, prorompe il pianto.

ARI. Respiro.

ARG. Oh folle!

AMI. Oh sconsigliato!

ARI. Ed ora il genitor che fa?

L’OLIMPIADE

ALC. Di lacci avvolto

ha il colpevole innanzi.

AMI. (Ah! si procuri di salvar l’infelice).

MEG. E Licida che dice?

ALC. Alle richieste nulla risponde. È reo di morte, e pare

che nol sappia, o nol curi. Ognor piangendo il suo Megacle chiama: a tutti il chiede, lo vuol da tutti; e fra’ suoi labbri, come altro non sappia dir, sempre ha quel nome.

MEG. Più resister non posso. Al caro amico per pietà chi mi guida?

ARI. Incauto! E quale sarebbe il tuo disegno? Il genitore

sa che tu l’ingannasti;

sa che Megacle sei; perdi te stesso

presentandoti al re; non salvi altrui.

MEG. Col mio principe insieme

almen mi perderò.

ARI. Senti. E non stimi

consiglio assai miglior, che il padre offeso vada a placare io stessa?

MEG. Ah! che di tanto lusingarmi non so.

ARI. Sì, questo ancora

per te si faccia.

MEG. Oh generosa, oh grande,

oh pietosa Aristea! Facciano i numi

quell’alma bella in questa bella spoglia

lungamente albergar. Ben lo diss’io,

quando pria ti mirai, che tu non eri

cosa mortal.



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